«La storia del Buddha pone attenzione a come sia fondamentale vivere tenendo a mente, in ogni istante, ciò che è impermanente da ciò che non lo è. Tutte le cose del mondo sono più o meno essenziali, a diversi livelli.
I veri “problemi” sorgono quando l’individuo fa perire la vita che gli è stata donata attaccandosi a ciò che è impermanente. Il messaggio del Buddha non mirava ad indicarci una via immersa nell’ascetismo e lontana dal mondo delle cose, dei desideri.
C’è una sottile precisazione qui. Delle cose del mondo bisogna invece saperne godere, attraversarle, superarle, non identificandoci con esse ma guardando la loro vera natura, assaporandola, consapevoli che il significato ultimo della vita non coincide con ciò che è impermanente e di passaggio.
Diceva ragionevolmente il grande Panikkar che “l’uomo occidentale ha scambiato l’identità con l’identificazione”.
Saperne dunque fare il saggio uso, esperendole come un saggio esperisce e vede i suoi pensieri pur sapendo che questi non indicano nulla della sua essenza.
Coltivare l’essenza, che a sua volta coltiva noi; quell’essenza che è stata sempre chiamata con vari nomi, quel Sé o totalità psichica che Jung riuscì come nessuno mai a delinearne una splendida fenomenologia anche all’interno della clinica psicologica.
Ricordo un passo memorabile di Jung, quando scrive: “Bisognerebbe comprendere che la vita è un passaggio. Un vecchio ponte coperto nei pressi di Schmerikon reca la seguente iscrizione: “Tutto è transitorio””»
(di Emanuele Casale – psicologo clinico)
La tua filosofia di vita
può essere uno spunto di riflessione per tanti, condividila.