Vivere nella costante preoccupazione di essere belli, apparire più giovani, inseguire maggiori successi, in una corsa all’automiglioramento perpetuo e costante… La tensione verso la perfezione spesso nasconde la non accettazione della propria natura più autentica. Questo rischia di rendere vani ed effimeri i traguardi raggiunti. Accettare sé stessi così come si è, con i propri pregi e difetti, non è debole autoindulgenza, ma la saggezza di riconoscere che l’imperfezione è ciò che ci rende unici, autentici, ciò che ci rende persone.
Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello. Questa tecnica è chiamata “Kintsugi”
Cit.
Riparare come forma di bellezza
Si chiama wabi-sabi, è una filosofia giapponese che fonda la propria visione del mondo sull’accettazione dell’imperfezione e della transitorietà delle cose. La bellezza delle cose imperfette risiede nella storia che queste hanno da raccontare, nell’assoluta unicità che rappresentano, nella valorizzazione di ciò che è stato e che ha trasformato l’iniziale illibatezza del nuovo in qualcosa di vissuto, provato dal tempo e plasmato dalla storia che ha attraversato.
L’arte giapponese del kintsugi si rifà a questa concezione: la bellezza autentica non è quella dell’oggetto nuovo, privo di difetti e sbavature: finché rimane tale è uguale, identico a tutti gli altri oggetti. Ma le sue crepe, quelle accumulate nel tempo, saranno uniche perché frutto della sua storia. Valorizzarle con dell’oro significa introdurre un nuovo concetto di bellezza: quella derivata dalle nostre ferite esteriori ed interiori dalle quali abbiamo tratto la forza e il carattere che abbiamo oggi…
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