L’io minimo
Per Christopher Lasch (L’io minimo, 1984) la crescente enfatizzazione dell’individuo ‘libero’, indipendente e padrone di sé ha reso patologico il bisogno di riconoscimento sociale, sollecitando istanze nella direzione dell’autosufficienza e di una forma di libertà astratta. Ma questi elementi, sottolinea, sono incompatibili con la naturale socialità dell’essere umano. Per l’individuo diviene sempre più difficile acquisire un senso di continuità storica, di stabilità e le relazioni con gli altri divengono particolarmente fragili. La soluzione è ritirarsi in sé stesso.
Le intuizioni di Lasch sembrano oggi essere validate dal progressivo ripiegamento dell’individuo su se stesso e nella valorizzazione delle dimensioni dell’immaginario, soprattutto grazie alle moderne tecnologie che hanno permesso di annullare quei limiti (fisici) che si ritenevano invalicabili.
Lo riscontriamo in particolare nel bisogno di visibilità sociale e di reputazione che vige in Rete.
L’autocelebrazione di se stessi ha assunto caratteristiche di esibizionismo; la società dei selfie è l’espressione più tangibile di quanto, per sfuggire all’anomia, si sia divenuti autoreferenziali.
L’investimento totalizzante nell’immagine che si desidera offrire in Rete ha avuto un effetto boomerang. Ha impoverito sia l’identità reale, sia la qualità delle relazioni interpersonali, soprattutto nelle nuove generazioni.
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