Nella nostra società occidentale iperfocalizzata sulla velocità, la bellezza, lo sforzo, la competizione, c’è quasi una forma di fobia verso tutto ciò che riguarda il tema della vecchiaia: il tema forse più ignorato e avversato dall’attuale spirito del tempo.
“La forza del carattere” di James Hillman analizza, studia e interpreta questa fase della vita in modo magistrale, fornendo un’interpretazione del tutto originale e ribaltando in modo geniale la prospettiva sulle sfide che attraversano questo momento dell’esistenza.
Il tema della vecchiaia assume una grande rilevanza se pensiamo che le società industriali stanno invecchiando rapidissimamente e molte non riescono neanche a compensare le morti con le nascite. In una popolazione sempre più ingrigita dalla longevità, urge, oltre ad un sistema sanitario e un welfare diversi, un’iniezione di senso e di significato che orienti le persone e le comunità per superare la comune concezione che concepisce questa fase della vita solo come un lento e doloroso declino, riducendo il ‘senso’ della Terza età a quello di un corpo ammalato e inutile.
In assenza di un orizzonte di significati capace di dare senso a questa fase della vita, spesso gli unici alleati dei nostri anziani diventano i farmaci, mentre le relazioni si concretizzano in istituzioni alienanti come ospedali e case di riposo, in cui è facile perdere la propria identità e la propria storia.
Soprattutto nelle grandi città, farmaci e istituti di vario genere divengono stampelle ‘medicalizzanti’ utilizzate spesso in modo improprio, ovvero come luoghi che vanno a riempire un ‘vuoto’: una voragine di senso, di relazioni, di comunità, in cui la vecchiaia viene vista solo come ‘deficit’, mancanza, inutilità di una macchina che non funziona più e che non serve più a nessuno.
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